Il regalo di Natale 2026: meno TPL, più attese, più costi
Se prendi bus, tram, metro o treno regionale, questa manovra ti riguarda. La Legge di Bilancio 2026 mette il TPL in una strettoia. Le Regioni chiedono risorse per tenere in piedi il servizio. Le aziende chiedono coperture per il contratto. I numeri non tornano. E quando i numeri non tornano, il conto arriva in banchina.
POLITICHE E ISTITUZIONI
12/28/20253 min read


Il Fondo nazionale resta la colonna portante del sistema. Le Regioni parlano chiaro: servono almeno 120 milioni per evitare tagli alle corse nel 2026. Lo hanno chiesto all'unanimità, nero su bianco. Questa richiesta nasce da un fatto semplice: i costi crescono, la base del fondo resta ancorata a valori che non seguono l'inflazione e l'aumento delle spese energetiche. Le Regioni temono una riduzione del servizio, specie sull'extraurbano, dove spesso non esiste alternativa credibile.
Il nodo più caldo è il rinnovo del CCNL Autoferrotranvieri. Le associazioni di settore indicano un fabbisogno di 370 milioni per il 2026, contro coperture stimate tra 150 e 180 milioni annui. Traduzione operativa: se mancano risorse strutturali, il rinnovo resta appeso. E la tensione sale. In questo contesto gli scioperi diventano una conseguenza prevedibile, non un fulmine a ciel sereno.
Sul lato investimenti restano attivi programmi collegati anche a scadenze europee e PNRR, con obiettivi ravvicinati sul rinnovo mezzi e sulla transizione ecologica. Il punto è che i bus nuovi non risolvono da soli il problema del servizio se mancano corse, turni e coperture di esercizio. Mezzi fermi in deposito non portano persone al lavoro. Dentro la manovra emergono definanziamenti su infrastrutture urbane simbolo. Per il 2026 si parla di risorse ridotte per la Metro C di Roma e per la M4 di Milano. Qui non serve fare propaganda. Basta guardare l'effetto: se rallenti opere già avviate, dilati i tempi, aumenti i costi indiretti, prolunghi disagi e cantieri. Chi paga? Sempre chi si muove ogni giorno.
Dal 2026 entrano in gioco regole nuove sul riparto del fondo, legate ai Livelli Adeguati di Servizio e ai costi standard. Le Regioni temono squilibri immediati e chiedono prudenza, con un transitorio più lungo. Questo è un tema tecnico, ma l'impatto è concreto: alcune aree rischiano di perdere risorse in tempi rapidi, proprio quando il sistema già fatica.
Quando lo Stato non copre i costi, due saranno i possibili scenari a cui potremmo assistere: meno corse, oppure aumenti tariffari, ma molto spesso entrambi. E poi c'è un effetto collaterale che nessuno scrive nei comunicati. Se il TPL arretra, l'auto diventa indispensabile. E chi non ha auto resta tagliato fuori.
La nostra posizione
Come associazione di utenti del trasporto pubblico, questa manovra ci preoccupa per un motivo preciso: scarica l'instabilità del sistema direttamente su chi viaggia ogni giorno.
Quando il Fondo TPL non cresce quanto i costi reali, il servizio diventa una variabile di aggiustamento. Non si discute più di qualità o di miglioramento, ma di sopravvivenza. Questo è un segnale sbagliato per i territori, soprattutto quelli extraurbani, dove il trasporto pubblico non è una scelta alternativa ma l'unico collegamento possibile.
Da anni raccogliamo segnalazioni di corse soppresse, coincidenze saltate, tempi di viaggio che si allungano. La Legge di Bilancio 2026, così impostata, rischia di trasformare questi episodi in normalità. Non è accettabile che il diritto alla mobilità venga messo in competizione con equilibri contabili che non tengono conto della vita reale delle persone.
Noi misuriamo un servizio pubblico su una cosa: se ti permette di vivere la tua giornata senza ostacoli inutili. Per questo chiediamo tre scelte chiare:
Rifinanziare subito il Fondo TPL per il 2026, almeno nella misura richiesta dalle Regioni, con priorità alla continuità del servizio.
Coprire in modo pieno e trasparente il rinnovo contrattuale, senza scaricare il gap su aziende ed enti locali.
Fermare il gioco dei definanziamenti a pezzi sulle opere già avviate, perché genera ritardi e costi sociali.
Il TPL non è un costo da comprimere. È un'infrastruttura sociale. E trattarla come tale è una responsabilità politica precisa. Il trasporto pubblico funziona quando è affidabile. Quando non lo è, le persone smettono di fidarsi, e tornare indietro diventa difficile. Questa non è una battaglia ideologica. È una questione di quotidianità, di lavoro, di studio, di accesso ai servizi essenziali.
Se qualcuno chiama tutto questo "razionalizzazione", noi lo chiamiamo: taglio al servizio pubblico.
